Marco Tronci Lepagier
a cura di Angela Madesani
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14 | 28 settembre 2019
Basilica di San Celso, Milano
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da “Come spine lucenti” di Angela Madesani
Prunus spinosa è la pianta di cui è fatto il lungo ramo che attraversa la Basilica di San Celso, luogo consacrato al culto. Una sorta di filo spinato naturale che Marco Tronci Lepagier ha composto e quindi posto in questo luogo, in cui il tempo è sospeso.
Il titolo scelto dall’artista per l’unica opera in mostra, Come spine lucenti, è liberamente tratto dai versi di Dylan Thomas*, poeta amatissimo. È l’opera che si fa installazione, unica, nello spazio.
La basilica sarà invasa così dal vuoto del lungo ramo coperto di foglia d’oro, come in un antico dipinto, sospeso nello spazio. È simile alla spina Christi, ma non è la stessa pianta.
In tutto questo mi pare di potere leggere una sorta di rimando alla sofferenza dell’umanità. L’oro è luce, luce di bellezza e di conoscenza come per l’abate Suger del quale ha scritto lo storico dell’arte Erwin Panofsky. Nel particolare momento storico che stiamo vivendo, tuttavia, in cui molti tentano di cancellare la memoria, la conoscenza potrebbe diventare sofferenza. Siamo in un’epoca di banalizzazione, di velocità superficiale, che tocca anche la simbologia sacra.
Christus patiens, Cristo sofferente: la forza della sua diversità non è stata compresa e dunque osteggiata, sino alla condanna, alla tortura, alla morte. È la non accettazione dell’altro, di chi è diverso da noi.
Per Tronci, architetto, il rispetto del luogo è fondamentale. L’opera non deve invadere, ma dialogare e convivere, senza disturbo alcuno. La linea di Prunus spinosa è sottilissima e leggerissima ma può anche diventare barriera. Leggera e respingente al tempo stesso. È un impedimento spaziale in uno spazio di accoglienza. Il prugnolo selvatico, infatti, è una pianta antichissima che in passato veniva usata per costruire barriere, a difesa dei terreni. […]
L’opera è una lunga linea di luce che può ferire chi oltrepassa il limite.
Si viene a creare una sorta di fastidio dato proprio dalla bellezza, dal prunus impeciato di oro. Oro che rimanda alla storia veneziana di Tronci che in quella città ha vissuto, ha studiato, un oro bizantino, pesante e leggero al tempo stesso. Contrasto, dramma, attraverso la leggerezza della natura, hardware e software di calviniana memoria. […]
Qui l’opera è messaggio, è aspirazione ad altro attraverso la poesia dei minimi in cui la natura, solo parzialmente manipolata dall’arte, diviene eloquente e potente come un macigno.
*Il titolo è tratto da “Come altare al crepuscolo” del poeta gallese.
BIOGRAFIA
Marco Tronci Lepagier Nato ad Ascoli Piceno, ha vissuto a Venezia dove si è laureato all’Istituto Universitario di Architettura. Vive e lavora a Milano.
Ha realizzato numerose mostre site-specific in spazi storici e museali come i Magazzini del sale e le chiese di San Basso, San Stae e la Cappella del Volto Santo a Venezia, il Museo Nazionale Villa Pisani a Stra, Palazzo Collicola a Spoleto, le ex carceri Le Nuove a Torino, il Museo Civico Villa Paolina Bonaparte a Viareggio, il Palazzo Comunale di La Maddalena ed il Museo Archeologico di Bergamo.